_ scritto il 16.01.2010 alle ore 19:53 _
3492 letture
articolo "Il paese in cui viviamo" di Bruno Tinti, tratto da Il Fatto Quotidiano del 15 gennaio 2010, pagina 18
A Rosarno le cose sono andate così: una banda di ubriachi e primitivi ha pensato bene di andare a rompere le scatole agli immigrati che se ne stavano a dormire nella loro bidonville; qualcuno aveva un fuciletto ad aria compressa (capacità lesiva pressoché zero se non lo pigli in un occhio) e ha sparato qualche colpo; gli immigrati se la sono presa e hanno reagito invadendo alcune strade cittadine, bruciando cassonetti e spaventando i cittadini, tra cui una signora che ha subìto una vera e propria aggressione e la cui macchina è stata bruciata. I cittadini di Rosarno hanno messo in piedi una spedizione punitiva, questa volta con fucili veri, e hanno cominciato una vera e propria caccia al negro (non so se ci fossero immigrati di altri colori); gli immigrati sono stati respinti e, siccome le cose si mettevano male e le forze dell'ordine non riuscivano a impedire ai rosarnesi di percorrere le strade in armi, trasferiti altrove; le loro cose sono rimaste nella bidonville dove abitavano e molti non sono stati nemmeno pagati per il lavoro fatto fino ad allora; infine la bidonville è stata rasa al suolo.
Adesso, stabilire chi ha avuto ragione e chi torto mi pare difficile; anni di processi per rissa mi hanno insegnato che la violenza è l'ultimo rifugio degli incapaci e che tutti i violenti sono sempre colpevoli. Ma non mi pare nemmeno importante. A me sembra che importante sia altro.
Gli immigrati lavoravano per 20 euro al giorno, senza contratto, senza assicurazione, senza contributi; e tutto questo avveniva sotto gli occhi di tutti. E nessuno trovava ignobile questo indegno sfruttamento. Quell'Ispettorato del lavoro, quei funzionari Inps che, nella mia procura, mi inondavano di denunce per contributi non versati e per figli, mogli e fratelli che lavoravano nel negozio del padre, marito, ecc, senza essere in regola, a Rosarno non facevano niente.
Gli immigrati vivevano accampati in una fabbrica abbandonata; dormivano sul pavimento e appendevano il loro cibo (quale?) in sacchi di plastica perché i topi non glielo mangiassero; defecavano in terra e si sdraiavano tra i loro escrementi. E quei vigili urbani che facevano arrivare alla mia procura decine di denunce per verande illegali e mansarde di lusso con altezza pari a 2,75 metri e dunque non agibili, non sono mai intervenuti a Rosarno. E nemmeno l'ufficio d'igiene del comune ha trovato niente da ridire; e il governo ha speso parecchi soldi per mettere le mutande ai quadri di Palazzo Chigi perché occuparsi degli ultimi della terra non procura voti. Gli immigrati sono stati cacciati come bestie; e il ministro dell'Interno, che qualche mese fa ha mandato l'esercito nelle strade come avviene nelle "repubbliche" africane, ha dichiarato: "Troppa tolleranza con gli immigrati". Gli immigrati adesso sono in un campo di concentramento, proprio come si è fatto per i giudei, i froci e i comunisti. E io sto qui a chiedermi che fine ha fatto il rispetto della vita che stava tanto a cuore a questo governo feroce e inumano quando si trattava di comprarsi i voti dei cattolici con la persecuzione di povere larve come Welby ed Eluana. Sto qui a chiedermi perché l'opposizione non va, tutta ma proprio tutta, a Rosarno portando a quei poveracci acqua, cibo e vestiti, dimostrando finalmente che non è uguale alla maggioranza. Sto qui a chiedermi in che diavolo di paese mi tocca vivere e se davvero è in questo paese che dovrò morire.
Me lo chiedo anche io, continuamente. Bisogna rendersi conto che a monte di tutta questa storia (e di molte altre analoghe) c'è lo sfruttamento alla luce del sole, e senza che nessuno dica niente, di povera gente che per guadagnare due soldi è costretta a vivere in condizioni di profondo degrado. E' una catena di eventi causa-effetto. Se si risolvesse il primo, si sistemerebbero anche tutti gli altri, ed è probabile che si vivrebbe in un clima di maggiore integrazione sociale.