_ scritto il 02.09.2009 alle ore 09:13 _
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Della famosa
riforma della giustizia se ne parla da un bel po' di tempo. Tutti i fautori si riempono la bocca di paroloni, dicendo quanto sia necessaria (addirittura diminuirebbe il sovraffollamento delle carceri), ma nessuno ci ha mai spiegato
davvero in cosa consiste e cosa comporterebbe. Ignoranza abissale da parte di quelle stesse persone che ne vanno sbandierando i vantaggi ai quattro venti? Oppure
forse gli italiani è meglio che non sappiano di cosa si tratta? Chissà... ad ogni modo eccovi una spiegazione limpida e cristallina direttamente da Bruno Tinti. Se vi capita, leggete tutto l'articolo per intero, perché ne vale la pena. E ovviamente fate girare... tra un quiz idiota e un'adesione all'ennesimo gruppo inutile, ogni tanto qualcosa di serio su Facebook ficcatecelo...
[...]separazione delle carriere vuol dire che i giudici restano a fare i giudici e i pubblici ministeri, che adesso sono magistrati anche loro, diventano "avvocati della polizia" (la definizione è di Berlusconi). Questo significa che, oggi, i pubblici ministeri (che di mestiere fanno le indagini) sostengono l'accusa solo per quelli che ritengono colpevoli; poi il giudice deciderà se condannarli o no. Una sorta di doppio filtro: prima un magistrato PM che indaga solo quelli che ritiene colpevoli e che chiede l'assoluzione per quelli che ritiene innocenti; e poi un magistrato giudice che (di questi) condanna solo quelli che anche lui ritiene colpevoli e assolve quelli che ritiene innocenti. Domani, se passa questa riforma (che è una riforma costituzionale perché la Costituzione prevede appunto una cosa diversa) i pubblici ministeri faranno come qualsiasi avvocato: il loro cliente sarà lo Stato (la Polizia, i CC, la GdF); il loro mestiere sarà quello di difendere le tesi dello Stato davanti ai giudici. Il problema è che lo Stato non dà molte garanzie di imparzialità: sia in certi casi, quando il colpevole è un amico o un amico degli amici (pensiamo a Previti, allo stesso Berlusconi, agli imputati del processo Abu Omar); sia in certi altri, quando il colpevole (presunto) è un avversario politico che fa tanto comodo eliminare. Ecco, in questi casi, il pubblico ministero non avrà scelta: davanti al giudice non sosterrà la tesi giusta (o quella che lui, in piena indipendenza, crede tale) ma quella che gli verrà imposta dallo Stato. Con tanti saluti per l'uguaglianza dei cittadini davanti alla legge.
La discrezionalità dell'azione penale si posiziona nel medesimo filone: è uno strumento per selezionare i processi che si fanno e quelli che non si debbono fare. Con regolari scadenze, magari ogni anno, il Parlamento o un organo appositamente costruito dalla politica, stabilirà per quali reati si debbono fare i processi e quali invece possiamo lasciar perdere. Oggi non è così: la nostra Costituzione dice che l'azione penale è obbligatoria, cioè per ogni reato si deve fare un processo: che sia un furto in alloggio o il falso in bilancio di Berlusconi. Naturalmente tutto sta nel vedere per quali reati si stabilirebbe che si debbono fare i processi: e che la politica preveda che i reati che le sono abituali (corruzione, frode fiscale, falsi in bilancio, peculati etc.) debbano essere processati credo sia eventualità molto remota.
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