_ scritto il 18.04.2014 alle ore 13:14 _
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Devo confessarvi che prima di iniziare la lettura della seconda parte di questa trilogia avevo un po' paura. Il romanzo precedente, "
Il Nome del Vento", mi aveva così tanto colpito che ero sinceramente preoccupato che il seguito non sarebbe stato all'altezza. Purtroppo la mia vita da lettore è costellata di "ottime prime parti con mediocri seguiti" e se nemmeno il grande George R. R. Martin è immune da questo genere di
défaillance - dal quarto libro delle sue famose Cronache in poi (numerazione originale, l'ottavo per l'Italia) la narrazione, gli intrecci e la caratterizzazione si incrinano considerevolmente, con risultati deludenti sotto alcuni punti di vista - c'era una possibilità piuttosto concreta che uno scrittore "in erba" e con poca esperienza, come di fatto è Rothfuss, potesse buttare tutto alle ortiche senza nemmeno accorgersene.
Ma per fortuna Patrick sa il fatto suo ed è riuscito a dosare in maniera perfetta i vari tasselli di cui è composta la storia. Quello che ci si ritrova tra le mani dopo il sonoro ceffone ricevuto con la prima parte è un libro assolutamente maturo, bilanciato a regola d'arte (come il suo fratello maggiore) e che offre al lettore situazioni, alchimie e
location fresche e incredibilmente stimolanti. La primissima parte del libro ha uno scopo ben preciso: aprirvi la porta, farvi accomodare sul vostro divano preferito - quello dove eravate seduti durante la lettura de "Il Nome del Vento" - e mettervi a vostro agio. Sarà una sorta di piccola riunione familiare, in cui ritroverete vecchi amici e vecchie situazioni, gli stessi odori e rumori a cui vi siete abituati in precedenza, e tutto tornerà improvvisamente vivido. Un piccolo prezzo da pagare (che se leggete i due libri uno di seguito all'altro potrebbe farvi temere di avere a che fare con un rimpasto un po' insipido) per assestarvi ben bene prima del decollo vero e proprio.
E una volta che vi ha portato sopra le nuvole e vi siete slacciati le cinture, Rothfuss torna ai sui altissimi standard di narrazione. Il dettaglio sulla psicologia e il carattere di Kvothe si fa più nitido e il punto di vista si stringe ulteriormente attorno a lui, dipingendolo sempre di più come persona umana - e per questo vulnerabile e fallibile - piuttosto che come
invicibile eroe fantasy senza macchia e senza paura. Questa è una delle cose che ho più apprezzato nella caratterizzazione del protagonista della prima parte e accorgermi, pagina dopo pagina, che l'autore manterrà lo stesso registro per tutta la storia, creando tra l'altro un solido - e coerente - intreccio tra presente e passato, mi ha confermato una volta per tutte quanto sia grande il talento di Patrick. Il ragazzo sicuro di sé, e a volte un po' spavaldo, in queste pagine lascia spazio ad un uomo che lentamente prende consapevolezza dei propri limiti e delle sue paure, e cerca di superarli al meglio delle sue possibilità (fallendo in alcuni casi).
Ma quello che colpisce più di tutti è lo stile di scrittura e la poesia che gronda da ogni pagina. Quest'ultima, in particolare, è una qualità estremamente rara - fino ad ora mi è capitato, in modo meno costante e "avvolgente" rispetto a Rothfuss, solo con uno o al massimo due libri di questi 3 autori: Màrquez, Clarke e Sturgeon - in particolar modo se pensiamo che ciascun romanzo di questa trilogia è composto da circa 1000 pagine, e che non c'è un solo momento di stonatura. Credo che il lavoro di perfezionamento e correzione sia stato mastodontico, e non mi stupisce che il volume conclusivo non sia ancora uscito nonostante sia già stato scritto da un pezzo.
Confermo il precedente verdetto: "Le Cronache dell'Assassino del Re" restano saldamente tra le cose più belle che abbia mai letto.
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