è stato più che altro un esperimento. Ho voluto proporre, con alcune piccole modifiche, l'abbrivio di un racconto che avevo già scritto tempo fa, "
", per vedere quanto la comunità si sarebbe avvicinata alle mie intenzioni originarie e quali idee alternative sarebbero nate dalla mente di altre persone. Al terzo nodo mi ero ripromesso di inserire la scena principale così com'era scritta nella storia originale, giusto per dare una base omogenea alla vicenda. Il resto l'hanno fatto gli utenti.
Buona lettura.
Darsch:
Il respiro stava diventando affannoso, era esausta. Correva a perdifiato da qualche minuto ormai, sotto una fitta pioggia che sembrava avviluppare ogni cosa. Le scarpe le aveva perse quasi subito, troppo scomode per correre. Erano quelle che aveva comprato il giorno prima con Claudia: "Devi assolutamente metterle alla festa, ti stanno d'incanto". Per i suoi 18 anni aveva fatto le cose in grande: il padre era riuscito ad affittare all'ultimo minuto un casale poco fuori città, circondato da prati e alberi quasi a perdita d'occhio. E ai piedi di uno di quegli alberi c'era Lei, infreddolita e completamente fradicia.
Si guardava intorno terrorizzata, non aveva il coraggio di abbassare lo sguardo, perché se l'avesse fatto avrebbe visto che la sua camicetta era aperta, la sua gonna lacerata e un sottilissimo rivolo di sangue le scorreva sulla coscia sinistra. Non voleva abbassarlo, lo sguardo, perché avrebbe voluto dire fare i conti con una realtà agghiacciante che non poteva essere vera. Cosa spinge una persona a commettere un atto del genere verso un suo simile? Come può un uomo lasciarsi sopraffare a tal punto da un mero istinto animale? Non capiva, non accettava, e mentre si poneva questi interrogativi, le lacrime sgorgavano senza sosta, e si univano alla piogga, confondendosi, mescolandosi. E le invidiava, perché per quanto si sforzasse Lei non riusciva a togliersi dalla testa quelle immagini, che scorrevano come se stesse vedendo un film dalla poltrona di un cinema.
"Motore... azione".
Fabrizio Brarez Barachino:
Avrebbe voluto sentire «Stop! Buona la prima!» Poi alzarsi come nulla fosse, salutare tutti, ritirarsi nella roulotte e lavare via la scena con una doccia calda e del sapone al muschio bianco.
Non era un'attrice e quello non era un film; era il giorno del suo diciottesimo compleanno, il giorno del suo incubo peggiore, il giorno in cui lei moriva dentro.
La parola "dentro" da quella sera la disgustava collegandola a quello che era successo nel casale.
Aveva bevuto di suo, in più l'avevano fatta bere "E bevilo, bevilo, bevilo" e c'era quel ragazzo che le piaceva.
Cercava il suo sguardo tra bicchieri di carta con i disegni di Winnie The Pooh, pettegolezzi con le amiche che già avevano provato il sesso nonostante portassero ancora l'apparecchio per i denti e canti in suo onore. Nulla di fatto però; lui non la badò se non per gli auguri di rito, poi si unì al gruppo di amici che frequentava abitualmente.
Niente classi sociali, ricchi o middle-class, popolari e sfigati; a quella festa c'era solo gente normale.
Solo ragazzi e ragazze.
Aveva mescolato troppo alcool e le venne da vomitare. Si congedò dalle amiche, barcollando verso il bagno al piano di sopra, trattenendo a stento il rigurgito che si faceva sempre più insistente mentre saliva le scale. Le sembravano infinite, instabili, impossibili.
I presenti sorridevano guardandola salire goffamente. «Su che dopo torna tutto apposto.» Non erano preoccupati, c'erano già passati più o meno tutti ed una sbronza non veniva vista come qualcosa di preoccupante da parte degli adolescenti.
Darsch:
Entrò nei bagni e scelse la prima porta libera. La diga cedette e tutto l'alcool ingurgitato nel corso della serata si riversò dentro il water. Liberato lo stomaco si sentiva una persona nuova, le mancava solo una bella rinfrescata al viso e un ritocco al trucco, e sarebbe tornata a posto.
Aveva appena fatto in tempo ad aprire il rubinetto quando una morsa possente le avvinghiò lo stomaco e il collo. Le mancava il fiato, era impietrita dal terrore. Nello specchio davanti a lei scorse due o tre sagome che si confondevano nella penombra. Si sentiva come una bambola inerme in mano a un gruppo di Uomini Neri. Una serie di viscide mani si insinuarono dappertutto, strappando, ferendo, violando. Poi quella sensazione. Qualcosa che aveva sempre sognato di provare nell'intimità di una coperta, tra braccia fidate. La vista le si stava annebbiando, mentre la metà inferiore del corpo perdeva sensibilità, riempita fino a traboccare di inspiegabile, incontinente violenza. I colori avevano perso brillantezza, quella giornata solare si trasformò in un vecchio film in bianco e nero.
Eccola, c'era Lei. Svenuta, sul pavimento sporco di sangue, piena di graffi e lividi, mentre l'acqua nel lavandino ancora scorreva. Ripresi i sensi l'istinto l'aveva fatta scappare via, il più lontano possibile da quell'incubo chiamato realtà. Aveva voglia di correre talmente forte da staccarsi dal ricordo di quella sera. Voleva lasciarselo indietro, ma quella sensazione non l'avrebbe più mollata.
Buon compleanno.
Fabrizio Brarez Barachino:
Aveva atteso che fuori dalla porta calasse il silenzio. Doveva essere il momento in cui tutti erano al piano di sotto con le luci spente e le candele della torta accese, pronti per cantarle la canzoncina di auguri.
Quali auguri? Quale festa? Non c'era più festa e avrebbe voluto poter cancellare con un colpo di spugna ciò che le era successo in quel bagno; ma non poteva, era stata violata, più volte ovunque ed il dolore pulsava e gridava a ricordaglielo in ogni movimento, anche il più insignificante. Tolse le scarpe con il tacco, si calò dalla finestra del bagno che dava sulla tettoia adibita a posti auto, da lì saltò in cortile, ruzzolando sulla ghiaia, finendo per provocarsi abrasioni ed escoriazioni. Altre ferite, altro dolore, ma quest'ultimo non lo sentiva più.
Agiva più per istinto che per ragione, in preda ad un misto di paura e vergogna; come un animale ferito corse via da quel casale, lasciando lì i suoi amici e i suoi aguzzini. Non si chiedeva chi fossero, ma solo perché. Perché lei? Perché oggi?
I piedi si scorticavano sui sassi e gelarono quando iniziarono a pestare l'erba bagnata dalla rugiada notturna. Corse forte, più veloce che poteva, senza una direzione, con la milza che le scoppiava, la bocca aperta per incamerare più aria possibile nei polmoni, i muscoli così tesi che avrebbero potuto lacerarsi ad ogni falcata.
Raggiunse il bosco e si lasciò ferire dai rami spogli che, mentre passava, le graffiavano la pelle, fino a che non inciampò in una radice sporgente, cadendo sulle foglie umide.
Non aveva più forza per rialzarsi e si rannicchiò appoggiandosi al tronco, piangendo a dirotto.
mauro artico:
Nessuno doveva vederla così, spezzata. Avrebbe voluto sciogliersi nella pioggia ed essere assorbita nel terreno così nessuno avrebbe potuto più trovarla.
Solo guardando la casa e le sagome che si muovevano dietro le finestre riusciva a restare attaccata alla realtà. Anche il freddo teneva i suoi pensieri in vita. Si sentiva in colpa, ma non capiva perché. Chi poteva essere stato? Perché nessuno si era ancora accorto della sua assenza? Tutto ad un tratto la sua vita sembrò vuota, pensò a quale amica avrebbe potuto chiedere aiuto, ma non le venne in mente nessuna con cui avesse una tale confidenza. Un mondo di contatti, non di relazioni. Anche i suoi genitori erano poco più che apparizioni nella sua vita, difatti dov'erano adesso che aveva bisogno di loro? Pianse di nuovo, come aveva fatto più volte nella solitudine della sua stanza.
Sentì una strana sensazione contro la sua guancia, si accorse che era un pezzo di camicia, anche piuttosto ampio. L'aveva sempre stretto in mano, ma non se n'era accorta se non adesso che aveva preso il viso tra le mani per piangere.
Poteva sapere, se fosse subito corsa in casa, forse poteva sapere...
Fabrizio Brarez Barachino:
Nella sua testa si faceva largo il desiderio di vendetta in contrasto con la paura. Tornare o scappare? Quel lembo di camicia le avrebbe permesso di riconoscere almeno uno dei suoi aggressori, ma cosa sarebbe successo una volta rientrata in quella casa?
Un rumore di passi, accompagnato dal fascio luminoso di alcune torce, spense qualsiasi domanda regalando di nuovo ampio spazio alla paura. Cercava di rialzarsi per fuggire più lontano, ma le gambe non la reggevano più in piedi; l'unica cosa che le venne in mente fu di nascondersi il più possibile alla base dell'albero, sperando che gli sconosciuti si spingessero in un'altra direzione.
Respirava piano, cercando di non far rumore, tenendosi il cuore come per impedirgli di battere troppo forte. Tutto inutile; una luce la illuminò. «Eccola! È lei!» gridò una voce.
Diversi fasci luminosi la investirono, impedendole di vedere chi stava arrivando. Avrebbe voluto scomparire.
Si risvegliò fradicia di sudore nel suo letto. Era a casa, senza escoriazioni, senza perdite di sangue, stava bene se escludeva l'agitazione. Pianse un po' fino a calmarsi, guardò l'orologio e si alzò per andare in cucina dove trovò sua madre. «Buon compleanno!» le disse e la baciò.
Era stato solo un sogno pensò per tutto il giorno, fino a che non si ritrovò ubriaca nel bagno del casale a vomitare e poi le mani estranee addosso al suo corpo. Buon compleanno.
Devo dire che ci sono anche parecchi punti in comune col racconto originale, il che mi fa decisamente piacere. :)