"Venere più X" - Theodore Sturgeon, traduzione di Adriano Rossi, Mondadori, 2004
L'accordo musicale vibrava sopra il gruppo, qualche volta si raccoglieva sopra un grappolo di piccoli corpi bruni, poi si spostava gradualmente attraverso lo stagno, fino all'altra riva, quindi si spandeva così che le note di contralto venivano da sinistra, quelle di soprano da destra. Si poteva quasi vedere l'accordo mentre si condensava, si rarefaceva, si librava, si diffondeva, balzava, cambiando le sfumature in sequenze vibranti, per poi tenere la nota-chiave, rafforzata di due voci all'unisono, mentre il sottofondo veniva modulato così da renderla dominante, una voce cadeva e poi, invece di ricadere, un'altra voce si appiattiva di mezzo tono e l'accordo, divenuto un po' più malinconico, scivolava armoniosamente. Infine una quinta, una sesta, una nona, dolcissima dissonanza che si risolveva come accordo tonale in un'altra chiave... e tutto era così facile, così spontaneo, così dolce e così delicato.
[...] Sottovoce, ma chiaramente, cantò rapidamente tre note: do, sol, mi...
E come se quelle tre note fossero palle colorate, lanciate a ciascuno di loro, tre bambini le raccolsero... un bambino per ogni nota, così che le note fluivano in un arpeggio e poi erano tenute come accordi; poi erano ripetute, di nuovo come arpeggi e poi come accordi; e poi un bambino [...] cambiò una nota, così che l'arpeggio fu do, fa, mi... e subito dopo re, fa, mi e poi all'improvviso fa, do, la... e continuò così in progressione, modulando, invertendosi; aumentò, altre modulazioni vennero aggiunte, capricciosamente, elegantemente. Alla fine, l'arpeggio si perse e la musica si adagiò in un accordo mutevole.