doc Un dio nella testa
_ scritto il 28.07.2014 alle ore 10:00 _ 4084 letture

Articolo "Come sarà la società atea?" pubblicato sul sito dell'UAAR

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La credenza in un dio resiste, secondo diversi psicologi cognitivi, perché sfrutta "alcuni tratti della psicologia umana che si sono evoluti per motivi non religiosi". Come la tendenza a individuare una intenzionalità simile a quella umana anche dove non c'è, sulla base del cosiddetto Hadd (hypersensitive agency detection device), capace di favorire la sopravvivenza degli ominidi in un ambiente ostile come poteva essere la savana.

L'idea di un "dio benevolo a nostra immagine e somiglianza", "una finalità superiore" e la credenza in una vita dopo la morte, possono aiutare a "vincere la paura esistenziale e l'incertezza". Favoriscono la religione il senso di autorità verso figure di "culto" e la tendenza a conformarsi alle norme sociali. Azioni eclatanti, come "atti di fede estremi" (digiuno, autoflagellazione, martirio) sono "manifestazioni che aumentano la credibilità" (i cosiddetti Creds). Gioca anche il maggior controllo sociale garantito dalle religioni: se le persone "si sentono sorvegliate" (ad esempio da un dio che si crede veda tutto), "tendono a comportarsi meglio e a collaborare di più", almeno in passato.

Ma il fatto che la fede sia "naturale" non deve far cadere nella fallacia naturalistica, che ritiene giusto e normale ciò che avviene e santifica, per così dire, lo status quo. Lawton si chiede: "se la fede ci viene così naturale, perché esiste l'ateismo?". In passato gli atei erano "una piccola minoranza", di solito colta, e per superare i condizionamenti religiosi occorreva un "duro lavoro cognitivo". Tale "ateismo cognitivo" rimane la "strada più comune" per diventare increduli, specie nei paesi dove è promosso il pensiero scientifico. Ma non è l'unica causa. Tante persone lontane dalla religione non si dichiarano esplicitamente atee, tant'è che Norenzayan afferma: "non sempre per arrivare a rifiutare la fede è necessario un duro lavoro cognitivo".

Se la religione "prospera sull'angoscia esistenziale", scrive Lawton, tra i motivi dell'abbandono della fede c'è semplicemente questo: tante persone "non hanno più bisogno del suo conforto". Non è un caso che la secolarizzazione si diffonda in paesi più stabili, liberi, ricchi, che garantiscono una rete di sicurezza, assistenza sanitaria e welfare, nonché tra le fasce sociali che vivono meglio, come evidenzia il Global index of religion and atheism. Norenzayan chiama questo tipo di incredulità "apateismo" (fusione con il termine apatia, nel senso di ateismo pratico): "non è tanto una forma di dubbio o di scetticismo, quanto di indifferenza; semplicemente non pensano alla religione". Un termine che ci sembra però un po' ingeneroso, visto il connotato negativo e il sentore di passività che sottintende. Forse, più semplicemente, tanti sono atei perché vivono bene con se stessi e con gli altri consapevoli della propria natura umana e non hanno bisogno di stampelle psicologiche per far fronte alle angosce esistenziali.

Da parte cristiana — ma non solo — si tende a minimizzare l'ateismo, riducendolo all'indifferentismo: per alcuni non esiste e non può esistere. Messa così, appare una negazione tramite rimozione psicologica. Si fa notare, come fa Pascal Boyer, che tra i non credenti ci sono comunque tante persone con un approccio spiritualistico e che pensare religiosamente è "normale". Ma quanti sono i credenti sicuri al 100% della propria fede e in quante occasioni di fatto fanno come "se dio non ci fosse"? La realtà è sicuramente complessa e ci porta, a seconda degli stimoli, a essere più o meno sensibili a certe idee.

Per Norenzayan la questione è infatti semantica: "non mi interessano tanto le etichette quanto la psicologia e i comportamenti. Le persone dicono di credere in dio? Vanno in chiesa, alla sinagoga o alla moschea? Pregano? Trovano un senso nella religione? Queste sono le variabili che ci dovrebbero interessare". D'altronde il trionfalismo degli apologeti lascia il tempo che trova, se queste persone comunque non credono nel dio cristiano e non considerano una certa chiesa come portatrice di verità. È anche vero che la secolarizzazione non comporta una meccanica vittoria del razionalismo: "il bisogno del soprannaturale" rimane diffuso, con il prosperare di credenze paranormali non necessariamente legate a religioni tradizionali (come gli ufo e il karma, ma per estensione anche il complottismo).

Alla luce di tutto questo, si nota che la secolarizzazione ha più probabilità di mantenersi se nelle società c'è benessere ed è sfavorita dove le disuguaglianze sono marcate (come negli Usa). I danni causati da disastri ambientali, cambiamenti climatici e altre crisi tali da incrinare le sicurezze delle nostre società potrebbero anche invertire la tendenza laica: ma si tratta appunto di fattori storici, economici e sociali.
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Ovviamente vi invito a leggere l'interessantissimo articolo completo.
Darsch
_ chiavi di lettura:religione, fede, ateismo, superstizione, società

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